C’è un punto, mentre fai a maglia, in cui smetti di pensare.
O forse inizi davvero.
Non ne sono sicuro. Dipende dal giorno, dalla quantità di silenzio nella stanza, o da quanto ho dormito la notte prima.
Comunque: le mani vanno. Il filo scorre. Io respiro.
Ed è lì che succede qualcosa. Una specie di… piccolo vuoto. Non mi accorgo nemmeno di star creando qualcosa. Solo dopo, quando alzo gli occhi, vedo che c’è una forma. Una riga. Una trama. Un senso.
Scrivere, per me, è una cosa così.
Non parlo della scrittura elegante, quella da manuale di stile con la punteggiatura al posto giusto e le parole “appropriate”.
Intendo quella vera, quella di una mail, di un testo che non sai bene dove voglia arrivare. Quella che comincia da un groviglio e a furia di tirare il filo, con costanza e attenzione, diventa altro. Un pensiero. Una frase. Un paragrafo mezzo storto, magari.
A volte sferruzzo perché non riesco a scrivere. Mi metto lì e faccio qualcosa che non serve a nulla nell’immediato, ma che ha quel tipo di utilità secondaria che salva la giornata.
E poi sì, lo so che suona da vecchi. Ma c’è qualcosa di meravigliosamente sovversivo nel concentrarsi su un punto dopo l’altro. Sul lento che vince al posto del multitasking. Sul fare e basta senza l’ansia di dover lavorare, misurare, postare.
Ogni tanto mi chiedo se, senza la maglia o senza la scrittura (anche professionale), saprei fare quello che faccio.
La verità è che un punto alla volta si costruiscono i pensieri. E quando non si costruiscono, almeno si tiene occupata l’inquietudine.
Che non è poco.