L’inadeguatezza è una sensazione discreta. Ti scivola addosso in silenzio, mentre qualcuno ti chiede: «Ma tu, l’IA, la usi?»
Certo che la uso. Per controllare se ho scritto bene “acquisire” o “accogliere”. Per sistemare una lista puntata in html perché è una rogna. O le tabelle, ma non vengono bene manco con l’IA.
Non si parla mai di questo, del piccolo uso imperfetto. Dell’intelligenza artificiale usata come stampella più che come esoscheletro.
Tutti parlano di performance, automazione, scalabilità.
E a me, invece, sembra di aver solo iniziato a scoprire come si accende.
Tipo il vecchio fax dell’ufficio dei miei: l’ho sempre avuto davanti, ma non hai mai avuto intenzione di capire come si usa fino a quando non sono stato obbligato.
Tutti stanno “sperimentando l’Intelligenza Artificiale”.
Lo scrivono così, con la “i” e la “a” maiuscole, come fossero entità sacre che, al tempo stesso, si devono temere e cavalcare.
E io lì, che provo a far partire un prompt, qualsiasi prompt, e mi ritrovo con una ricetta di carbonara vegan (col tofu o con la variante seitan) invece del piano editoriale per il cliente.
OK, ho inserito il numero di fax. Ora cosa devo premere?
Provo un paio di bottoni (fisici, un po’ sbiaditi, per niente rassicuranti) sento il rumore della telefonata ma il mio foglio rimane li.
Poi chiamo qualcuno e scopro che… nessuno ha ancora capito da che parte si mette il foglio. E che di sicuro non sa dov’è la spina dove attaccare la corrente.
A mio discapito? Che ci volesse la corrente io lo sapevo. E anche cosa scrivere su quel foglio. Tutto il resto, basta impararlo, è la parte semplice!