Panorami da vomitare (ma con stile)

Perché certe strade sembrano progettate da qualcuno che odia lo stomaco umano ma ama la fotografia? C’è una bellezza crudele nei tornanti: ti rubano il respiro, ma non come fa un tramonto.

La bellezza delle strade che non puoi guardare

Una macchina che taglia in diagonale un paesaggio montano, luce dorata sulla carrozzeria, una curva che promette libertà. Di solito c’è anche una persona con i capelli al vento (non sudati, non appiccicati).

Ci sono foto che ti fanno venire voglia di partire.
Hanno una didascalia tipo: On the road again.

Io guardo quella foto e penso: «Sì. Voglio andare lì. Subito.» E poi ci vado. O meglio, ci provo. Il problema è che certe strade sono bellissime solo quando non sono io quello su di loro.
Quando le vedo da fuori, sembrano poesia. Quando ci sono dentro, diventano prosa barcollante.

Viaggiare è un verbo transitivo (per il contenuto dello stomaco)

Chi non soffre l’auto non capisce.
Dice: Respira. Guarda fuori. Distraiti.
Che è un po’ come dire a uno che sta annegando: Fai una nuotatina.

Nel mio caso, la nausea arriva piano. Prima mi accorgo che non riesco più a leggere un messaggio sul telefono. Poi mi si spegne la conversazione. Poi inizio a guardare un punto a caso sul cruscotto, come se contenesse la risposta a tutto.
Spoiler: non la contiene. È vuoto come il tuo stomaco. Sei sono fortunato.

A quel punto, non mi importa se fuori c’è la Svizzera, le Dolomiti o l’Islanda: per me è tutto uguale. Un unico, indistinto “vorrei solo scendere”.
Eppure continuo.
Perché ho scelto quel viaggio o perché a un certo punto sono diventato troppo grande per chiedere di fermare l’auto senza vergognarmi.

Resistere è un’arte. Come fotografare in movimento senza sfocare.

Ci sono viaggi che ricordo solo per il rumore delle gomme sul tornante e il sapore delle gomme da masticare alla menta fortissima, che poi non è mai menta, ma una specie di esperanto chimico del sollievo.
E a volte, quando finisce il tragitto e si scende, capita quella cosa assurda: sei spossato, distrutto, pallido come la dashboard di un gestionale, eppure… felice.

È una felicità strana. Non quella esplosiva dei traguardi o degli arrivi.
È più simile alla pace. Come dopo una febbre che si è abbassata.
E mi dico: «Non ho visto quasi niente… ma l’ho fatto.»
Anche se ci fosse stato un “noi” mi sento come se ero solo io contro l’aria condizionata e i 28 tornanti.

Fine del viaggio

Forse questo post è per quelli come me, che viaggiano male ma viaggiano lo stesso. Per chi ha fatto l’errore di sedersi dietro, di leggere anche solo “attenzione ai cervi” su un cartello e ha dovuto chiudere gli occhi per il resto della salita.
Ma anche per gli altri. Quelli che postano curve da sogno, musica alta, finestrini abbassati. Che bello, davvero. Continuate. Ma sappiate che ogni volta, da qualche parte, c’è qualcuno che guarda la stessa curva e pensa: “No, dai. Ancora una?”

Anche se forse non la guarderemo mai davvero, ci saremo stati.

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