Affetti e affettati

Sono venuto a fare un giro in Toscana e lei era lì, che mi sorrideva profumata vicino a salami, coppe, prosciutti: tutto disposto con quella cura casuale che solo le zie e i ristoratori umbri sanno replicare.

La finocchiona è a suo modo, perfetta, e visto che è il mese del pride, mi permetto di celebrarlə con lo sciocchissimo, per niente serio e sicuramente non divertente, post che segue.

La finocchiona non ha l’eleganza asciutta del prosciutto crudo, né l’autorità stagionata del culatello. Lei è un’altra cosa: più morbida, più aromatica, più… visibile.
In un mondo di affettati che cercano di rientrare nella stessa sagoma da buffet, lei si prende spazio. E non chiede scusa.

Il nome, poi. Finocchiona. C’è già tutto, dentro. Perché, dai, chi altri potrebbe portare con tanta disinvoltura l’aroma di semi di finocchio in ogni singola fetta? 
È troppo intensa, troppo profumata, troppo morbida. Non ha il “profilo aromatico” giusto per finire sul panino fighetto, né l’aria asciutta per piacere a quelli che vogliono “solo due fette sottili”.

Eppure resiste.

Io non so bene se la gioia stia nelle cose semplici o nei piccoli eccessi. Forse in entrambe. Ma davanti a un tagliere mi sono ricordato che c’è qualcosa di profondamente liberatorio nel lasciarsi essere.
Perchè sì, c’è chi si sente prosciutto.
Chi si crede bresaola.
E poi c’è chi sa, dentro, di essere finocchiona.

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